Si chiamavano Mario D’Aleo, Giuseppe Bommarito, Pietro Morici e sono stati uccisi dalla mafia il 13 giugno 1983

Siamo a Palermo. È il 13 giugno 1983. La giornata sta volgendo al termine e gli ultimi raggi di sole illuminano la città. In via Cristoforo Scobar, si è appena fermata una Fiat Ritmo. Si tratta di un’auto di servizio dell’Arma dei Carabinieri. Le portiere si aprono. Al suo interno ci sono il capitano Mario D’Aleo, l’appuntato Giuseppe Bommarito e, al volante, il carabiniere Pietro Morici. D’Aleo e Bommarito scendono dall’auto. Salvatore Biondino e Domenico Ganci, due mafiosi, giungono dinanzi al civico 22, estraggono le armi, si voltano verso l’auto e cominciano a sparare. Poco distanti, ci sono altri due mafiosi, Raffaele Calogero Ganci e Giacomo Giuseppe Gambino, con funzioni copertura. Da una Fiat 131 di colore arancione scende, armato, Angelo La Barbera, altro killer mafioso. Una pioggia di colpi investe i tre carabinieri. Non hanno nemmeno il tempo di rendersi conto di quanto sta accadendo e di impugnare le armi, trovate riposte nelle fondine. Non gliel’hanno fatta a sottrarsi o a reagire alla pioggia di fuoco che li investe.

Il capitano dei carabinieri Mario D’Aleo è stato ucciso perché indagava su alcune imprese edili legate alla mafia. C’è dunque un collegamento tra l’inchiesta avviata dai giudici della Procura di Palermo sulla tangentopoli siciliana e l’agguato mafioso. I magistrati hanno accertato che il capitano D’Aleo stava conducendo un’indagine sulla “Litomix” un’impresa di San Giuseppe Jato che produce calcestruzzi. L’inchiesta era stata avviata, qualche anno prima, dal capitano dei carabinieri Emanuele Basile, assassinato nel 1980 a Monreale davanti alla moglie e alla figlia di appena sei mesi. Secondo un rapporto dei carabinieri del reparto operativo speciale presentato dalla magistratura, la “Litomix” era una società nella quale avevano forti interessi i boss Bernardo e Giovanni Brusca, capimafia di San Giuseppe Jato, fedelissimi del capo della cupola Totò Riina. Uno dei soci era anche l’imprenditore Angelo Siino, ex corridore automobilistico che il pentito Giuseppe Li Pera ha definito “il ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra per conto dei corleonesi”. E l’attenzione del capitano D’ Aleo nei confronti della società edile mirava proprio a verificare l’ipotesi, risultata poi fondata, di un collegamento tra l’ impresa e le cosche “vincenti”. Ipotesi confermata successivamente anche dal pentito Baldassare Di Maggio, l’uomo che con le sue rivelazioni ha permesso la cattura di Riina. La “Litomix”, assieme ad altre società controllate da boss mafiosi come Tommaso Cannella, Bernardo Provenzano, Pietro Messicati Vitale, Giulio Di Carlo e Benedetto Capizzi, era stata inserita dai carabinieri in un gruppo interessato “alla gestione di appalti pubblici e di ogni altra attività redditizia”. Il capitano D’Aleo aveva inoltre avviato accertamenti sui lavori per la costruzione del municipio di San Cipirello e aveva ereditato, dal capitano Basile, le diverse indagini che, dopo la morte del dottor Boris Giuliano, si stavano dipanando e incrociavano interessi mafiosi e interessi economici.

Mario D’Aleo, nasce a Roma il 16 febbraio 1954 ed è nella capitale che trascorre la sua infanzia. Suo padre è un maresciallo dell’esercito, sua madre una casalinga. Ama giocare a calcio, a tal punto che disputa un campionato nella squadra giovanile della Lazio come difensore. Nel suo futuro, però, non c’è spazio per il calcio. Mario ha le idee molto chiare. Non a caso, dopo l’esame di maturità, entra nell’Accademia militare di Modena. In seguito, torna nella sua Roma e frequenta la Scuola degli Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri. La sua carriera prosegue senza intoppi. Nel 1980 arriva la svolta, con il trasferimento in Sicilia. Gli viene assegnato il comando di una compagnia sita in un’area ad alta densità mafiosa, Monreale e San Giuseppe Jato, luoghi in cui era nata l’alleanza di ferro tra Totò Riina ed il clan Brusca. Mario D’Aleo giunge in Sicilia all’indomani della morte del suo predecessore Basile.

Il 13 giugno 1983, sotto il fuoco mafioso, morirono il Capitano Mario D’Aleo, di 29 anni, l’Appuntato Giuseppe Bommarito, di 39 anni, e l’autista Pietro Morici, di 27 anni.

(rg)

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